Quando è nata l’idea di FOQUS?
All’inizio degli anni Dieci, sono molte le esperienze in Italia che avviano pratiche di cittadinanza attiva. Pratiche non ideologiche, pragmatiche, che si propongono di dare risposta a domande antiche e nuove che emergono dalle città nelle loro aree più marginalizzate. Un tempo, tali aree erano le periferie, che segnavano il limite dove finiva la città e iniziava l’incompiuto. Oggi invece la marginalità si trova anche nel cuore dei centri storici, a conferma che è il modello urbano che abbiamo conosciuto nel Novecento a essersi esaurito. E a chiedere di essere rinnovato.
Come, per esempio, i Quartieri Spagnoli, nel centro storico di Napoli?
I Quartieri Spagnoli – nati nel XVI secolo come accampamento dell’esercito spagnolo che occupava la città – sono un’area dalla densità abitativa paragonabile a quella di Tokyo, ma segnata da disoccupazione, illegalità diffusa e dispersione scolastica. Qui, un ragazzo su tre tra gli 8 e i 14 anni abbandona la scuola, una scelta che lo condanna a un futuro di precarietà permanente o, peggio, all’illegalità e al reclutamento da parte delle mafie.
La convinzione da cui siamo partiti è che il disagio sociale, pur avendo mille cause, ha il suo comune denominatore proprio nella povertà educativa. È la mancanza di strumenti per comprendere, interpretare e affrontare la realtà con spirito critico che impedisce alle persone di emanciparsi dalla propria condizione. Per questo, il nostro intervento doveva iniziare dai bambini e dalle loro famiglie, proponendo un lavoro di medio-lungo periodo teso a generare un esito concreto e non a inseguire perennemente le emergenze.
Così, abbiamo rivolto la nostra attenzione al grande monastero cinquecentesco dei Quartieri Spagnoli, che per secoli ha svolto un ruolo di presidio sociale ed educativo nella zona. Trasformato nell’Istituto Montecalvario, ultimamente si era andato svuotando di attività e di energie. Finché nel 2013 le suore della Congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli e Santa Luisa di Marillac, ormai anziane e senza la prospettiva di un ricambio generazionale, lo hanno ceduto in affitto all’impresa sociale Dalla Parte Dei Bambini di Rachele Furfaro, che, dal 1985, porta avanti scuole ispirate alla pedagogia cooperativa di Freinet (ma anche a Dewey, Vygotskij, Montessori) sviluppando nei suoi nidi, scuole d’infanzia, primarie e secondarie di primo grado un modello originale adattato ai contesti di fragilità di Napoli.
La convinzione da cui siamo partiti è che il disagio sociale, pur avendo mille cause, ha il suo comune denominatore proprio nella povertà educativa. È la mancanza di strumenti per comprendere, interpretare e affrontare la realtà con spirito critico che impedisce alle persone di emanciparsi dalla propria condizione. Per questo, il nostro intervento doveva iniziare dai bambini e dalle loro famiglie, proponendo un lavoro di medio-lungo periodo teso a generare un esito concreto e non a inseguire perennemente le emergenze.
Così, abbiamo rivolto la nostra attenzione al grande monastero cinquecentesco dei Quartieri Spagnoli, che per secoli ha svolto un ruolo di presidio sociale ed educativo nella zona. Trasformato nell’Istituto Montecalvario, ultimamente si era andato svuotando di attività e di energie. Finché nel 2013 le suore della Congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli e Santa Luisa di Marillac, ormai anziane e senza la prospettiva di un ricambio generazionale, lo hanno ceduto in affitto all’impresa sociale Dalla Parte Dei Bambini di Rachele Furfaro, che, dal 1985, porta avanti scuole ispirate alla pedagogia cooperativa di Freinet (ma anche a Dewey, Vygotskij, Montessori) sviluppando nei suoi nidi, scuole d’infanzia, primarie e secondarie di primo grado un modello originale adattato ai contesti di fragilità di Napoli.
È la mancanza di strumenti per comprendere, interpretare e affrontare la realtà con spirito critico che impedisce alle persone di emanciparsi dalla propria condizione.
Come avete iniziato?
L’inizio vero coincide con le prime passeggiate dentro un edificio svuotato, 15.000 metri quadri abbandonati che dovevano essere ristrutturati, un vuoto fisico e anche di contenuti, un vuoto etico e civile nel cuore della città. Per riempirlo abbiamo seguito due direzioni. Per prima cosa ci siamo messi in ascolto delle persone che vivevano il quartiere, abbiamo cominciato a parlare davvero con loro, a interrogarle, a cercare di capire quali erano i problemi principali, come affrontarli, in che condizioni vivevano, da quali storie provenivano, che cosa avrebbe potuto aiutarli a ridiventare protagoniste del loro destino. Dall’altro lato, abbiamo guardato cosa accadeva nel mondo. Da Parigi ad Amsterdam, da Vienna a Johannesburg, abbiamo analizzato le mille esperienze – sociali, e non solo edilizie – che erano sorte e continuavano a sorgere a cavallo del millennio.
Su questo ascolto, e questo studio, su questa raccolta di informazioni, abbiamo iniziato a coltivare le nostre competenze: un processo che non finisce mai.
Su questo ascolto, e questo studio, su questa raccolta di informazioni, abbiamo iniziato a coltivare le nostre competenze: un processo che non finisce mai.
Come avete proseguito?
Un secondo momento – simbolico e insieme concreto – ha a che fare con l’inclusività, che è sempre stata la nostra cifra. Il monastero aveva un grande portone grigio – simile a quello del carcere di Poggioreale – che le suore tenevano sempre chiuso. Noi lo abbiamo dipinto di verde e lo abbiamo aperto a tutti, esponendoci al rischio dell’incontro.
Quali obiettivi vi siete posti?
Pur essendo l’educazione il fulcro del nostro intervento, il suo filo rosso, abbiamo puntato su un approccio sistemico, affrontando vari ambiti, da quello culturale a quello produttivo, sociale, di servizi. Per farlo, ci siamo rivolti alle nuove generazioni. Abbiamo coinvolto un centinaio di giovani, per lo più disoccupati, incoraggiandoli a sviluppare i loro progetti. Ne abbiamo passati in rassegna tantissimi, alcuni improbabili, altri più sostenibili, sulla cui fattibilità abbiamo discusso a lungo insieme.
Il primo a vedere la luce proveniva da un gruppo di giovani donne che volevano aprire un asilo nido. Tenuto conto che in questo quartiere vive il 10% dei bambini di tutta Napoli, le abbiamo sostenute, mandandole a studiare a Reggio Children e offrendo loro un anno di formazione sotto l’egida di Rachele. Oggi sono una cooperativa di 19 donne, il cui nido ospita 58 bimbi, del quartiere e non. Lo stesso è accaduto per il centro di abilitazione Argo, che oggi segue più di ottanta tra adulti e giovani con disabilità cognitiva, autistici, psicotici, neurodivergenti. E che da poco si è arricchito di una Casa Comune, la casa degli argonauti, un progetto di co-housing che propone progetti di autonomia, di socializzazione, formazione e lavoro.
Il principio cardine di FOQUS è che chi ha può aiutare chi non ha. Infatti, la qualità dei servizi che proponiamo in tutti gli ambiti attrae famiglie da altre zone della città. Pensiamo, per esempio, alle nostre scuole. Le famiglie che possono contare su un certo reddito pagano una retta commisurata alle proprie possibilità, permettendoci così di offrire lo stesso servizio gratuitamente o a costi ridotti al 60% dei bambini, le cui famiglie non potrebbero permetterselo. In tal modo, si crea un’integrazione sociale alla fonte, dove bambini di diversa estrazione sociale ricevono un’educazione tra le migliori della città.
Il primo a vedere la luce proveniva da un gruppo di giovani donne che volevano aprire un asilo nido. Tenuto conto che in questo quartiere vive il 10% dei bambini di tutta Napoli, le abbiamo sostenute, mandandole a studiare a Reggio Children e offrendo loro un anno di formazione sotto l’egida di Rachele. Oggi sono una cooperativa di 19 donne, il cui nido ospita 58 bimbi, del quartiere e non. Lo stesso è accaduto per il centro di abilitazione Argo, che oggi segue più di ottanta tra adulti e giovani con disabilità cognitiva, autistici, psicotici, neurodivergenti. E che da poco si è arricchito di una Casa Comune, la casa degli argonauti, un progetto di co-housing che propone progetti di autonomia, di socializzazione, formazione e lavoro.
Il principio cardine di FOQUS è che chi ha può aiutare chi non ha. Infatti, la qualità dei servizi che proponiamo in tutti gli ambiti attrae famiglie da altre zone della città. Pensiamo, per esempio, alle nostre scuole. Le famiglie che possono contare su un certo reddito pagano una retta commisurata alle proprie possibilità, permettendoci così di offrire lo stesso servizio gratuitamente o a costi ridotti al 60% dei bambini, le cui famiglie non potrebbero permetterselo. In tal modo, si crea un’integrazione sociale alla fonte, dove bambini di diversa estrazione sociale ricevono un’educazione tra le migliori della città.
Non esiste educazione senza inclusione, dunque.
Sì, è l’educazione inclusiva e trasversale il canale entro cui effettivamente scorrono le mille attività di FOQUS. FOQUS che organizza corsi di ristorazione, cucina, pasticceria; che favorisce l’incontro tra donne di comunità e lingue diverse all’interno del quartiere; che organizza ogni estate il cinema all’aperto per tutta la città; che ha un accordo con le librerie Feltrinelli per accogliere, nei suoi spazi, la presentazione di libri; che ospita l’Istituto Cervantes, una succursale dell’Accademia di Belle Arte di Napoli, il Consorzio Forma, che si occupa di formazione professionale in ambito ecologico, la Fondazione Kennedy, che si occupa di diritti civili. È sempre l’educazione a scandire il ritmo dei nostri interventi.
È l’educazione inclusiva e trasversale il canale entro cui scorrono le mille attività di FOQUS.
L’impressione è che, così come la povertà educativa innesca solo circoli viziosi, che si fonda sull’educazione diventa una fonte generativa e continua di nuove opportunità.
È proprio così. Grazie a Bolton for Education Foundation, abbiamo aperto altri 5.000 metri quadri dell’ex convento abbandonati da più di un secolo. Li abbiamo ristrutturati e ampliati, arrivando quasi a raddoppiare il numero di bambini, ragazzi e giovani che, dal nido fino alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado, seguono le nostre attività. Approfittando dei nuovi spazi, abbiamo dato anche un taglio contenutistico molto contemporaneo e molto necessario al nostro progetto educativo, in un quartiere tra i più antropizzati d’Europa. La nuova scuola, aperta tre anni fa, si chiama Eduqa (educazione quartiere ambiente) e ha una vocazione ambientalista.
Non si tratta di un’ora di educazione civica a settimana, ma di un approccio che permea l’intero DNA educativo. Gli insegnanti sono coinvolti in un percorso di formazione continua con esperti del CNR e di diverse università italiane su temi come la crisi climatica, la sostenibilità e l’economia circolare. Questa spinta innovativa – grazie allo straordinario sostegno ricevuto, che ci garantisce per dieci anni un impegno non solo economico ma di costruzione e gestione strategica e operativa – sta progressivamente “contaminando” l’intero sistema educativo di FOQUS, orientando tutte le scuole preesistenti verso la cultura ambientale e dimostrando come la trasformazione, quando è sostanziale e non solo effimera, possa auto-generarsi e continuare nel tempo.
Non si tratta di un’ora di educazione civica a settimana, ma di un approccio che permea l’intero DNA educativo. Gli insegnanti sono coinvolti in un percorso di formazione continua con esperti del CNR e di diverse università italiane su temi come la crisi climatica, la sostenibilità e l’economia circolare. Questa spinta innovativa – grazie allo straordinario sostegno ricevuto, che ci garantisce per dieci anni un impegno non solo economico ma di costruzione e gestione strategica e operativa – sta progressivamente “contaminando” l’intero sistema educativo di FOQUS, orientando tutte le scuole preesistenti verso la cultura ambientale e dimostrando come la trasformazione, quando è sostanziale e non solo effimera, possa auto-generarsi e continuare nel tempo.
Renato Quaglia
Project manager, direttore organizzativo di istituzioni culturali, è direttore della Fondazione FOQUS e dell’esperimento di rigenerazione dei Quartieri Spagnoli, a Napoli; analista OCSE; docente di Economia della cultura. È stato direttore del Napoli Teatro Festival Italia; direttore organizzativo della Biennale di Venezia; consulente per progetti di sviluppo in Francia, nel Regno Unito, nelle Regioni del Sud Italia. È Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese.




