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1 Luglio 2025
1 luglio 2025

Pierdomenico Baccalario e l’editoria per ragazzi

L’arte della scrittura di gruppo

Intervista a Pierdomenico Baccalario,
scrittore
Tempo di lettura: 10 minuti
Pierdomenico Baccalario è cresciuto in mezzo ai libri e da adulto ha fatto della letteratura la sua casa. Il suo approccio creativo è particolare: considera il gruppo come il luogo migliore dove nutrire e sviluppare le idee. Con la sua agenzia letteraria riunisce talenti che lavorano insieme, combinando abilità e competenze in modo che storie e progetti vengano sviluppati in ogni loro potenzialità. E tutto questo, forse, accade perché è stato un figlio unico.

Lei è scrittore, giornalista, sceneggiatore; autore di libri, articoli, racconti, giochi di ruolo, progetti didattici. Inoltre, è imprenditore, con Book on a Tree, la sua agenzia letteraria fondata a Londra. Qual è il comune denominatore del suo lavoro?

Quello che collega questi mestieri è la creazione di un gruppo di persone curiose che vogliono condividere un’idea senza paura che qualcun altro gliela rubi. I giornali si fanno così, non sono opere di un giornalista ma di un gruppo. E nei libri c’è una scrittrice o uno scrittore, o, come vedremo, anche più di uno, e poi ci sono – si spera – gli editor, poi un editore, poi i librai e poi forse il pubblico. Sono tutte opere collettive. Non mi piace stare da solo, forse perché sono stato figlio unico in una casa in cima a una collina e quindi ho un po’ di solitudine da rimediare.

Lei leggeva molto da bambino? E quando ha iniziato a scrivere?

Da bambino leggevo molti libri, ma sono stato fortunato, mio papà era ed è un grande collezionista, ne abbiamo catalogati più di trentamila. Leggevo soprattutto quelli che non erano adatti a me, di autori pericolosi come Edgar Allan Poe, con cui poi terrorizzavo i miei compagni di classe. Scrivevo racconti già al liceo, però ho cominciato a scrivere sul serio all’università: a ventidue anni ho pubblicato un libro vincendo il Premio Il Battello a Vapore e non ho più smesso.

Che tipo di studente era a scuola?

Ho sempre creduto che la scuola non dovesse generare problemi al di fuori dell’orario scolastico, ho sempre fatto quello che dovevo ma senza entusiasmo. Poi ho incontrato un paio di professori con cui ho creato rapporti che, ancora oggi, mi sembrano incredibilmente adulti. Uno era il professore di storia e filosofia del liceo: me lo ricordo come un collega di discussioni, uno di quegli insegnanti che ti fanno sentire alla loro altezza.

Perché ha deciso di dedicarsi a storie per bambini e ragazzi?

Perché sono in pochi a scrivere per giovani lettori senza pensare di doverli trattare da bambini. Nel nostro Paese (ma all’estero non è così) si tende a considerare la letteratura per ragazzi un accesso facile alla letteratura che dovrebbe contare di più, cioè quella per adulti. Dal mio punto di vista è l’esatto contrario. Io cerco di parlare ai giovani lettori guardandoli diritto negli occhi. Offro loro una complessità, sia pur utilizzando un vocabolario semplice, perché i bambini hanno meno parole a disposizione, ma in quanto a sveltezza intellettuale ci battono tutti.

Io cerco di parlare ai giovani lettori guardandoli diritto negli occhi.

I suoi libri sono tradotti e pubblicati in tutto il mondo. Quali reputa le peculiarità del mercato e dei giovani lettori in Italia rispetto ad altri Paesi?

Nel nostro Paese c’è una scarsa cura dei ragazzi in generale, figuriamoci se ci si preoccupa dei giovani lettori! Con la nostra agenzia organizziamo book camp in cui facciamo lavorare i ragazzi per una settimana tra di loro, lontano dai genitori, alla creazione di storie. Emergono idee, voglia di scrivere, sceneggiare, fare uno spettacolo teatrale. I bambini sono adulti in formazione, invece qui li consideriamo come piccoli Buddha, a cui non si può dire mai di no.

Come si spiega la sua creatività? Come nascono le sue storie?

Sono una persona attenta, guardo su, guardo giù, vedo una serie di particolari e quando c’è qualcosa che stona, qualcosa che è diverso, vorrei capirne la ragione. Secondo me la creatività è inserire delle eccezioni in un tessuto semplice e poi far credere al lettore che ci sia un piano, una congettura, qualcosa che risolveremo insieme.
AI e scuola, intervista a Mario Rasetti

Come riesce a essere così produttivo in un mondo pieno di distrazioni? Si sente di dare qualche consiglio a ragazzi e adulti?

A volte non rispondo al cellulare, altre mi isolo volontariamente per rimanere concentrato. Sono molto veloce a lavorare, a patto di sapere che le prossime tre, quattro ore non sarò disturbato. Inoltre, sono poco social, anche se ovviamente un po’ devo esserlo, e poi sono curioso: usavo il computer quando nessuno lo aveva ancora, non rifiuto nulla di quello che è nuovo.

I ragazzi sono molto distratti, però la distrazione la puoi controllare. Se vuoi essere attento devi darti molto da fare: porto spesso i ragazzi a camminare nei boschi e questo funziona.

Incontra gli studenti nelle scuole? Che cosa le chiedono?

Mi chiedono moltissime cose: racconto loro pezzi della mia vita che mi sembrano significativi. Provo a spronarli ad agire in prima persona. Li invito a prendersi sul serio, a sognare cose realistiche, e consiglio loro di cominciare a capire cosa sanno fare. Vado principalmente in scuole elementari e medie. Se sei un autore vivente gli insegnanti delle superiori non ti vogliono, perché lì non si studia più la letteratura contemporanea. Ed è un peccato. Il pittore Mark Rothko diceva che per insegnare l’arte a qualcuno bisogna iniziare dai contemporanei e poi tornare indietro, tanto per fare gli Egizi c’è sempre tempo. Credo che abbia ragione.

Come pensa che la scuola possa stimolare nei ragazzi la passione per la lettura di libri in modo da competere con i suoi molteplici concorrenti (social, videogame e audiovisivi in generale)?

C’è una competizione sull’attenzione. Alla scuola diamo tante responsabilità, però forse non si può generalizzare e parlare della scuola come di un sistema. In Italia quello che succede in una classe è del tutto imprevedibile perché è legato alla preparazione degli insegnanti. Non c’è una vera media italiana: ci sono insegnanti pazzeschi che fanno leggere libri e poi vanno a giocare insieme ai videogiochi o al cinema, e ci sono insegnanti incapaci di farlo.

Con Le 15 domande lei, insieme a Federico Taddia, ha realizzato un’enciclopedia cartacea per ragazzi. In un’epoca in cui le informazioni sono accessibili in un ipertesto digitale all’apparenza infinito, come e per chi avete progettato quest’opera?

Abbiamo progettato un’opera cartacea pensando ai grandi blackout che ci saranno, e perché il problema della digitalizzazione è la liquidità delle informazioni che sono totalmente riscrivibili. Noi abbiamo lavorato con esperti che hanno visto e rivisto i testi fino allo sfinimento: un libro è quello e resterà tale, contiene informazioni che non cambiano e ti permettono di riflettere.

Lei ha lavorato con l’intelligenza artificiale in veste di editor. Quali ritiene siano i rischi e quali le opportunità di questa tecnologia per chi scrive e per chi legge?

Con gli scrittori Davide Morosinotto e Marco Magnone ho fatto un esperimento, il primo di questo tipo nel mondo: abbiamo preso un’idea di storia e l’abbiamo data da scrivere contemporaneamente a un’autrice esordiente, che quindi non avesse i suoi libri caricati a nutrire l’intelligenza artificiale, e a un’intelligenza artificiale. Poi abbiamo pubblicato entrambi i romanzi in un volume dal titolo Viaggio oltre l’ignoto. L’autrice umana, Valentina Federici, è stata bravissima e il suo racconto è proprio bello. Quello dell’intelligenza artificiale ha un finale fantastico. L’insegnamento che si può trarre è che la creatività umana è inarrivabile, ma c’è la possibilità di trovare un senso anche nei testi delle macchine. Il limite dell’intelligenza artificiale è che non sa godere della propria genialità.

Come abbiamo accennato, spesso i suoi libri sono scritti in collaborazione con altri autori: come si lavora in gruppo quando si sviluppa una storia o si elabora un testo? Si può insegnare il lavoro di squadra nelle scuole?

Si può e si deve insegnare, nel nostro Paese dobbiamo imparare a collaborare molto di più. Ogni tanto il mio gruppo viene accusato di produzione industriale di libri e letteratura, mentre noi facciamo proprio l’opposto. Siamo artigiani, prima di cominciare a scrivere una storia, ne parliamo e ne discutiamo le potenzialità. Ci diamo consigli: puoi arrivare con un’idea e gli altri ti dicono cosa potrebbe succedere, e questo è entusiasmante. In agenzia abbiamo chi è bravo a scrivere le prime frasi dei libri, chi le trame. Si potrebbe replicare questa formula in classe: prima di tutto si individuano le competenze. Bisogna suddividere i compiti, e affidarli a chi è più in grado di portarli avanti, a partire dall’insegnante, che è il più competente e quindi deve orchestrare gli alunni, dividerli e far fare un pezzo a ciascuno. E bisogna affidare compiti anche agli studenti con rendimenti scarsi, altrimenti non cresceranno.
AI e scuola, intervista a Mario Rasetti

Un’immagine del Cartino, la casa in cui Baccalario è cresciuto e che è diventato un punto d’incontro per scrittori.

Lei ha scritto un numero straordinario di libri e di saghe letterarie: ce n’è qualcuno a cui è più affezionato?

Il grande manca è quello che mi sta più a cuore, perché da figlio unico non sapevo come raccontare la storia di un ragazzo che perde un fratello. L’ho capito quando ho perso una persona cara. Sono molto affezionato anche a La rivincita dei matti, perché è il racconto ben riuscito di una partita di calcio. E poi il libro scritto con mia figlia che ha undici anni, Mio zio è un gatto. Parla di un bambino che va dallo zio e scopre che è un gatto. Quando torna dalla mamma le dice: «Non mi avevi detto che lo zio è un gatto». E lei risponde: «Ah, no? Scusami!». È una bellissima storia di inclusione.
Emilia Bandel

Pierdomenico Baccalario

Scrittore e giornalista, ha pubblicato romanzi, libri-gioco, racconti, giochi di ruolo, progetti didattici e umanitari e articoli specialistici. Le sue opere sono state tradotte in più di trenta lingue, e hanno venduto oltre 10 milioni di copie nel mondo. È il fondatore dell’agenzia creativa e di storytelling Book on a Tree. Ha scritto insieme a Gianluca Vialli la biografia Le cose importanti e collaborato al libro La Bella Stagione, di Gianluca Vialli e Roberto Mancini, diventato un docufilm con la regia di Marco Ponti, di cui Baccalario è stato uno degli sceneggiatori.

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