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7 Ottobre 2025
30 settembre 2025

Ugo Cardinale e l’arte di riassumere

Il riassunto nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale

Intervista a Ugo Cardinale,
linguista, filologo, lessicografo, docente universitario, ma anche preside di una scuola superiore per quasi trent’anni.
Tempo di lettura: 10 minuti
Perché far riassumere ancora oggi testi agli studenti? Il linguista Ugo Cardinale analizza i meccanismi cognitivi che stanno alla base di questa pratica atavica, ce ne svela le regole fondamentali e ci aiuta a comprendere l’importanza che, ora più che mai, può ricoprire nell’apprendimento.
Lei è linguista e ha dedicato tutta la vita allo studio della nostra lingua: perché ha deciso di scrivere un saggio su l’arte di riassumere?
I fenomeni linguistici mi hanno sempre interessato sia come studioso della lingua sia come docente e dirigente della scuola attento ai risvolti pedagogici delle mie riflessioni. Fin dai miei primi studi mi sono imbattuto nel concetto di “testo” e mi sono convinto dello stretto legame tra meccanismi linguistici e processi cognitivi. In particolare mi sono convinto che l’arte di riassumere testi sia un’abilità imprescindibile e irrinunciabile nel processo di apprendimento, anche se oggi è messa fortemente a repentaglio dall’Intelligenza Artificiale.
Perché si può considerare il riassunto un’arte?
Fin dalla prima infanzia ci viene chiesto di riassumere e raccontare, ma anche queste sono operazioni consapevoli, quindi frutto di un’arte. La nostra comunicazione sia orale sia scritta presuppone un’organizzazione più o meno strutturata. Anche se all’inizio non ne abbiamo consapevolezza, noi parliamo e scriviamo per “testi”. La nozione di “testo” elaborata dalla linguistica testuale, di cui è stata pioniera Bice Garavelli Mortara, negli anni Settanta del Novecento, ci ha insegnato che la nostra mente attraverso lo sviluppo storico della scrittura ha affinato la capacità di costruire legami tra le parole e di articolare pensieri sempre più complessi. “Testo” è etimologicamente collegato a “tessitura”, l’arte di intrecciare fili: indica un insieme di parole correlate fra loro per formare un’unità logico-concettuale più o meno stringente. Quando parliamo di riassunto intendiamo per lo più la riduzione di un testo. Bisogna conformarsi a una tecnica precisa perché il riassunto non è una parafrasi; né è una semplice riduzione del testo originario attraverso la soppressione di alcuni dettagli e la ricopiatura di parti integrali di esso.
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Che cosa si intende allora per riassunto?
È il risultato della lettura e di un’analisi intelligente che rivelano la comprensione del testo. Ma non tutti i testi si prestano a essere riassunti: ad esempio quelli giuridici, molto vincolanti, non si possono riassumere, perché hanno un lessico e una sintassi del tutto rigidi e insostituibili. Tutti i testi, però, presuppongono implicitamente una macrostruttura semantica, per usare la terminologia del linguista Teun van Dijk, cioè una sorta di schema basato su regole che sta alla base della loro produzione e dunque della loro comprensione/ricostruzione. Il lettore che deve riassumere un testo ha quindi come compito – oserei dire etico – quello di cercare di ripercorrerne e rispettarne soprattutto la macrostruttura. È questa la discriminante tra riassunto e commento, al centro del dibattito suscitato dall’Elogio del riassunto di Umberto Eco. E in questa operazione entrano in gioco importanti funzioni cognitive che coinvolgono la memoria a breve e soprattutto a lungo termine. La rappresentazione schematica della macrostruttura articolata in frasi permette di ricostruire sul piano formale quello che presumibilmente accade a livello cognitivo nella produzione del testo e costituisce quindi la guida per le operazioni di riassunto.
Il lettore che deve riassumere un testo ha quindi come compito – oserei dire etico – quello di cercare di ripercorrerne e rispettarne soprattutto la macrostruttura.
Qual è la funzione di questo strumento nella didattica? Esiste un ciclo scolastico in cui sia più importante l’esercizio del riassunto?
Quanto alla funzione didattica, ne sottolineerei l’utilità in tutto il ciclo scolastico: il testo narrativo può essere riassunto fin dal primo ciclo, visto che già dall’età di 4 anni i bambini sembrano avere conoscenze intuitive della narrazione, anche se solo verso gli 11-12 anni sanno utilizzare appieno nello scritto la struttura del racconto. Il testo narrativo infatti sembra per lo più seguire regole universalmente riconoscibili: una situazione iniziale, una complicazione, un’azione e una risoluzione finale; ritengo invece che i testi giornalistici e in particolare quelli argomentativi, come gli editoriali o i resoconti scientifici, strutturati secondo modalità retoriche riconoscibili, ma più complesse, costituiscano un’ottima palestra per gli studenti delle scuole superiori, come aiuto alla comprensione dei meccanismi polifonici dell’argomentazione. I testi descrittivi invece non sono riassumibili. E i testi poetici possono solo essere parafrasati.
Il suo saggio analizza le regole di base della riduzione di un testo. Quali sono?
Non esistono regole insindacabili nell’insegnamento del riassunto, spesso concepito come una semplice operazione pratica di scarso valore. Il libro indica le tappe faticose del riassumere: uno stretto rapporto tra lettura e scrittura, con l’ausilio della memoria episodica, il controllo della macrostruttura semantica del testo, le operazioni di riduzione secondo regole precise. Il riassunto è infatti una prova di sintesi e può avere un alto valore diagnostico nella verifica della comprensione. La prima regola è la cancellazione, cioè l’eliminazione di dettagli ridondanti non funzionali alla comprensione del testo. Si tratta per lo più di digressioni, di descrizioni accessorie. Ma questa regola, per essere efficace, non può operare per semplice eliminazione di intere frasi. Deve essere preceduta da una prima lettura e focalizzazione dell’intera macrostruttura del testo che sappia intuire le parti essenziali rispetto a quelle marginali e da una corretta sequenzializzazione del testo per cogliere il senso globale, che non è detto sia distribuito uniformemente in tutte le parti. La seconda regola è quella della generalizzazione che si apprende gradualmente nell’età evolutiva con lo sviluppo del pensiero astratto. Si tratta, ad esempio, di far uso di iperonimi, che raggruppano sotto una categoria generale più elementi individuali, come “animale” per indicare “cane”, “gatto”, “coniglio” ecc., o di utilizzare categorie meno specifiche come “episodio”, “affare”, “situazione”, o addirittura quelli che vengono definiti “iperonimi massimi” (“cosa”, “fatto” ecc.), che possono non solo riprendere nomi, ma anche interi blocchi di testo. Si può poi far uso dei cosiddetti “incapsulatori”, che, volendo, assumono anche un aspetto valutativo (con connotazione negativa o positiva), come “quella brutta vicenda”, “un omicidio brutale” oppure “una bella pagina” ecc. La terza regola è la costruzione attraverso la quale il lettore o ascoltatore ricorre a un “copione” (o frame, come “andare in aeroporto”, “festeggiare un compleanno” ecc.) per inquadrare l’intero atto globale in cui può essere presentato il testo. È un’operazione che presenta un certo margine di “soggettività”, e quindi di arbitrarietà, perché implica fare inferenze per definire la situazione, ma può anche risultare una buona guida alla produzione di un riassunto efficace.
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E, secondo lei, qual è la regola più importante?
Quando il testo da riassumere presenta una certa complessità, l’operazione preliminare più utile è quella della suddivisione in paragrafi. Non si tratta semplicemente di seguire meccanicamente i capoversi, cioè gli accapo, del testo originario; si tratta di individuare la sua struttura profonda e di riorganizzarlo intorno a un centro o a più centri possibili, definiti ciascuno da “una frase regista”, quella topic sentence che avrà il ruolo di “segnaletica testuale” e potrà guidare nella sintesi la ricostruzione della continuità tematica del testo secondo una progressione che implica la relazione tra qualcosa che permane, assunto come dato, e qualcosa che muta, l’elemento nuovo. La terminologia è complessa, desunta dalla linguistica testuale, ma l’operazione pratica è semplice: suddividere il testo in paragrafi, logici, non tipografici; individuare le frasi riassuntive topiche che li definiscono. La produzione finale del riassunto sarà una specie di ricucitura coerente e coesa dei loro rapporti. La suddivisione in paragrafi è un’operazione utile per la comprensione soprattutto del testo argomentativo, che è il luogo della polifonia, cioè del discorso problematico che prende in considerazione diversi punti di vista e si sviluppa attraverso l’assunzione di una tesi, sostenuta da uno o più argomenti, e la confutazione di una o più tesi contrarie, di cui possono essere portavoce gli avversari potenziali o reali.
Intere generazioni hanno studiato o ripassato sui testi delle edizioni Bignami. Come è cambiata la riduzione dei testi con l’avvento di Internet e dell’IA?
I Bignami sono ancora rispettabili riassunti, strumenti informativi utili, ma non possono sostituire il compito scolastico. E lo stesso discorso vale per l’utilizzo dei modelli linguistici addestrati su enormi quantità di dati testuali (LLM, Large Language Model) che permettono di comprendere, generare e tradurre il linguaggio umano, come ChatGTP di OpenAI. Semplificare il lavoro individuale scolastico facendo uso dell’IA non può che essere un danno per gli studenti, anche se occorre valutarne attentamente le potenzialità senza demonizzarla a priori. Non si tratta soltanto di uno strumento ausiliario della didattica, ma di un sostituto della mente umana che potrebbe gravemente danneggiarla, provocando quello che è stato definito un “debito cognitivo”. Sostituire con ChatGPT le operazioni mentali in compiti come fare riassunti o rielaborare testi può ridurre notevolmente la “connettività cerebrale”, che è ciò che ci distingue come esseri umani.
Lei è stato anche preside di un liceo classico: come immagina o auspica il futuro di questa pratica didattica nella scuola?
Bisognerà ripensare i compiti scolastici e il ruolo di questi nuovi strumenti ausiliari che si dimostrano molto più rapidi nel fare inferenze sulla base dell’immagazzinamento di una grande quantità di dati, ma occorre salvaguardare anche per il futuro la capacità di esercitare un controllo critico sulle operazioni della macchina, non rinunciando alla nostra autonomia e all’esercizio della nostra mente.
Emilia Bandel

Ugo Cardinale

Ugo Cardinale, linguista, filologo, lessicografo, organizzatore e curatore di importanti eventi culturali (come il Festival del Classico), ha insegnato per molti anni Linguistica Generale all’Università degli studi di Trieste. I suoi interessi e le sue numerose pubblicazioni vertono sui meccanismi cognitivi della lettura e della scrittura, sulla lessicologia e sulla lessicografia – con particolare riferimento alla neologia e al lessico fondamentale –, sulla scrittura giornalistica e sull’insegnamento dell’italiano. Il 20 giugno 2019, l’Accademia Nazionale dei Lincei, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, gli ha conferito il Premio Maria Teresa Messori Roncaglia ed Eugenio Mari per un Letterato sul tema: La lingua italiana nelle scuole.

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